STICKEEN. STORIA DI UN CANE (La Vita Felice, 2022) di John Muir, a cura di Saverio Bafaro e Massimo D'Arcangelo. Testo inglese a fronte. Con bozzetti di viaggio dell'autore.

Nel 1909 John Muir pubblica "Stickeen. The Story of a Dog", la storia del suo incontro con un cane che lo aveva seguito durante la spedizione alla scoperta dei ghiacciai dell’Alaska sudorientale. Il racconto fa una descrizione particolareggiata dei luoghi impervi, raggiunti con il coraggio di chi rischia la vita per scoprire la natura selvaggia e inesplorata, e testimonia la nascita di un’amicizia eterna, parabola del rapporto uomo-animale.

«Come i bambini, la maggior parte dei cagnolini chiedono di essere amati e di poter amare; ma Stickeen sembrava proprio un Diogene che voleva soltanto essere lasciato solo: un vero figlio del mondo selvaggio, che voleva tenere nascosto il corso della sua vita con il silenzio e la serenità della natura.»

INTATTO. ECOPOESIA / INTACT. ECOPOETRY (La Vita Felice, 2017) di Massimo D'Arcangelo, Anne Elvey, Helen Moore  -  cura e traduzione dall’inglese di Francesca Cosi e Alessandra Repossi, traduzione dall’italiano Todd Portnowitz. Prefazione di Serenella Iovino.

I tre autori di Intatto, rispettivamente pugliese e toscano d’adozione, australiana e inglese residente nella Scozia del Nord-Est, sono diversi tra loro: per storia personale, per formazione, per età. Eppure l’attenzione verso il mondo, verso l’altro nel mondo, li fa convergere in un’esperienza comune. Pur mantenendo la propria individualità di stile e immaginazione, essi mettono in comune sguardi e linguaggi cimentandosi a vedere e dire le stesse cose.
Se però si vuole individuare una tonalità fondamentale in questo discorso a tre voci, allora bisogna cercarla in una comune aspirazione alla giustizia, in una «ricerca di giustizia poetica nel contesto generale di tutte le forme di espropriazione», scrive Helen Moore. «Perché essere ecopoeta», sottolinea l’autrice inglese, «non è esprimere solo la gioia e la meraviglia di stare al mondo, ma anche la rabbia e il dolore per la devastazione che il capitalismo globale infligge a tutti gli esseri». Questo stato di guerra, il lutto per le rovine di cui si conoscono i responsabili, ci fanno capire che non c’è nulla di ingenuo, irenico o romantico nell’ecopoesia. Ecopoesia è coscienza di una duplice espropriazione: quella dell’umano – abusato, sfruttato, dominato – e quella del non umano. L’umano è qui spesso carnefice, ma è anche vittima: vittima di soprusi storici, degli abissi di giustizia tra “noi” e “loro”, e della violenza che annulla le differenze tra chi la subisce.
Ancora più presente, però, nella coscienza dell’ecopoesia, è la realtà della dimensione più-che-umana come portatrice di segno e di senso, indipendentemente dal segno e dal senso che vi lascia l’umano. Il senso nella vita non solo umana è la ricchezza d’informazioni dei suoi codici genetici, è la capacità di organizzarsi e di stare al mondo. E il suo senso è patire e gioire, temere e amare, desiderare e sognare.

 (Dalla prefazione di Serenella Iovino)